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Prof.ssa Lucrezia Rubini

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L’actio primordiale di Laura Donato segna l’incipit del “prima del prima”, prima della Logica, prima del poter dire, prima delle lingue e delle civiltà.
«In quell’istante, in quel luogo, in quello stato, dove il limite si perde, dove non si riconoscono i confini, proprio lì ha origine qualcosa di totalmente altro» (da: “Oltre. Il viaggio nelle terre di confine”, catalogo a cura di Dario Rezza, con testi dell’artista stessa, 2019): così l’artista individua un luogo-non luogo oltre le radici, un magma indistinto, non percepibile umanamente, pertanto non dicibile e non visibile. Ad esso si può attingere solo con l’istintualità primordiale del sentire, sensitivamente, inteso come avvertire, tattilmente e vibratilmente.

 

Tale dimensione non misurabile e, pertanto illimitata e infinita, può proiettare qui -indistintamente e per barlumi -, qui - nel luogo della coscienza e del razionale -, solo frammenti, afferenti ad un Tutto-Caos non più recuperabile.
 

È attraverso tali frammenti, in quanto reperti, che l’archeologia dell’anima, di Laura Donato, ci accompagna per ritrovare sé stessi, come individui e come umanità (Archè, 2020). Una cultura complessa e ampia, quella di Laura, che si esplica, non solo nelle competenze artistiche, ma nella storia dell’arte, la filosofia estetica, la teologia, che le consentono di spaziare nei mondi della poesia, del simbolo, delle suggestioni, della memoria. La preparazione teorica, data dagli studi universitari, si è poi innestata sulle esperienze di viaggio in terre di confine, in Giordania, Palestina, Egitto, Turchia, Marocco, Spagna e Sicilia, da cui ha attinto odori, colori, sapori forti, quasi violenti, “dove luce e colore sono protagonisti” (Ricordi di viaggio, 2020).
 

L’operazione qui messa in atto è quella della destrutturazione di una realtà che, in quanto apparenza, solo tra i cretti può far emergere quel caos, che solo potrà salvarci. Ovvero, solo attingendo al caos primordiale potremo prendere coscienza del drammatico caos futuro.
 

Dalle cesure della superficie potremo attingere la linfa della Rinascita, per un nuovo Umanesimo (Risveglio, 2020).
 

Dai suoi viaggi Laura porta materie: la sabbia, le spezie (indaco, curry, paprika), riversati sui supporti costituiti da iuta, tavola, o carta (Profumi e colori a Sharm, 2013).
 

Le “zone” di colore non definiscono, ma suggeriscono suggestioni percorribili con glistrumenti dell’ineffabile, del sogno, dell’inconscio, dell’incantamento, della sospensione, della poesia: del simbolo (Telos, 2020).
 

In questa zona liminare, indistinta, opaca, i cretti aperti dal tempo dell’uomo, aprono porte, regali, per accedere all’Oltre. Una materia per l’immateriale, un diaframma diafano ed evanescente, per l’invisibile (Attraverso, 2018). “È uno sguardo attraverso—ci suggerisce l’artista-- di wittgensteiniana memoria, e allora porte e finestre, architetture umane, sono quegli elementi culturali che indirizzano lo sguardo verso l’intuizione di un Altro da noi. Elementi al confine fra sè e il mondo.”
 

Il frammento assurge allora a reliquia, in quanto cosa rimasta, che non potrà mairicostruire il Tutto, ma di esso diviene evocazione “riattivandosi” e caricandosi del pathos -caos primordiale. Tale frammento, ancora, non è un codice, ma un indice, anzi un indizio: dall’apparenza al simbolo, dalla forma all’idea.
 

Se le civiltà dell’Occidente - questi sono il patrimonio culturale e antropologico che Laura indaga – hanno ricostruito, assemblato, organizzato quel Caos, in tale ricostruzione “razionale” qualcosa si è scheggiato. Dalla superficie, delle diversità apparenti, qualche scheggia impazzita ha prodotto cesure, ferite, separazioni. Il tempo dell’uomo ha accumulato diversità divergenti, che si sono accumulate nella Memoria.
I

luoghi, vissuti nei tanti viaggi dall’artista, dell’Oriente e dell’Occidente, riemergono, recuperando strati mnestici, che hanno lasciato tracce, che solo l’arte può ora recuperare.
 

Ciò che ne emerge è un tessuto slabbrato, dalla trama lacerata, frammentario, appunto. Troppo frammentaria per poter “delineare” i pattern decorativi “originari”. Oramai non siamo più in grado di gestire il patrimonio mnestico elaborato dai nostri avi. Guardiamo al futuro perché ci angoscia volgere lo sguardo ad un passato di cui non riusciamo a reggere il peso. Non siamo in grado di uguagliare le conquiste fatte da chi ci ha preceduto e sappiamo fare solo piccoli passi ulteriori, pur armati di tecnologismo. Non siamo in grado di gestire lo scibile elaborato da tanti studi, per
cui lo depositiamo su internet, perché la mente è ormai ovattata da altre dipendenze, lanciato nell’oblio dell’amnesia digitale.

 

Il riposo è diventato evasione alla ricerca velleitaria di un sé che nessun luogo topografico potrà restituirci. Lo smarrimento di quest’uomo perduto viene anestetizzato dall’ horror vacui placato dal “pieno di niente”, da cui siamo quotidianamente indaffarati.
Le dimensioni in cui ci riporta Laura Donato sono quelle, in controtendenza, della pausa, della stasi, del silenzio silente, del riconoscimento di quel sé ancestrale, che abbiamo rimosso.

 

Eppure, tale dimensione, che va oltre l’hic et nunc, oltre la logica e la logistica, risiede in un inconscio collettivo e ancestrale, che pure riemerge dai “cretti” dell’anima. Penetrando negli strati della memoria, che diventano “veli” cromatici, l’artista attinge a quelle zone intoccabili e intoccate dell’anima, ne aggancia le corde e le pizzica, con atmosfere apparentemente acquietanti e poeticamente ineffabili. L’artista, una sorta di moderno demiurgo, ci trasporta “oltre”: oltre il visibile, oltre il percepibile coi sensi, oltre il dicibile, oltre il logicizzabile, oltre la razionalità, per attingere direttamente a quel caos primordiale, che non possiamo più ignorare. (Oltre, 2014, su cui sono riportati alcuni passi da: il mito dell’auriga in Platone,
l’incipit del vangelo di Giovanni, uno stralcio dalla Nascita della Tragedia di Nietzsche, il velo di Maya di Schopenauer, le proposizioni del Tractatus Logicus Philosophicus di Wittgenstein).


La piacevolezza dei colori caldi diventa allora rivelazione, disvelamento drammatico. Gli strumenti per tale “risalita all’archeologia dell’anima”, ci vengono forniti da quei frammenti – un particolare architettonico come un arco o un portale, o un oggetto, come un vaso-, che occhieggiano fra gli strati cromatici che si susseguono in una prospettiva non geometrica. Si tratta di brandelli di memoria, rimasti impigliati nelle “costruzioni umane”, fili sfilati da una storia che non riusciamo più a gestire, o che forse non vogliamo più ricordare, affogati nel transeunte che ottunde la mente, che
offusca la memoria, che fa svanire persino quella razionalità, e quel senso della realtà, che supponiamo di possedere.

 

In tale disorientamento, l’arte di Laura Donato può fornirci fili salvifici, con cui ritrovarci.
«L’Arte è per me la lente attraverso cui far esperienza del mondo e, contemporaneamente del divino. È l’unica capace di acquietare le domande sul senso che agitano da sempre la mia anima. Vivo nello spazio immaginifico e fluido fra la realtà, capace di annientare per la sua crudeltà, e la metafisica. Vita come Arte, come anelito alla Bellezza, via per raggiungere quell’Oltre di cui sento forte la
nostalgia».

Storico e Critico d’arte
(Accademia Internazionale d’Arte Moderna)

Frammenti di memoria da “sguardi attraverso”

Prof.ssa Lucrezia Rubini
Storico e Critico d’arte
(Accademia Internazionale d’Arte Moderna)
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